23 gennaio, 2007

Università e Ricerca: la visione di Antonio Ruberti - Accademia Nazionale dei Lincei, Roma, 24 gennaio 2007


Tre cose hanno contato molto nella mia vita,
tre cose che senza esagerazione chiamerei tre passioni:
l'ingegneria, l'università, l'Europa.
Antonio Ruberti

Mercoledì 24 gennaio 2007, alle ore 18:15, all'Accademia Nazionale dei Lincei (Roma, via della Lungara, 230) ci sarà un incontro di riflessione sull'attualità del pensiero di Antonio Ruberti.
L'incontro è promosso dal Ministero dell'Università e della Ricerca, con la collaborazione della Fondazione Antonio Ruberti e dell'Associazione Montedoro, sotto l'Alto Patronato del Presidente della Repubblica Italiana, in occasione degli 80 anni dalla nascita di Antonio Ruberti (1927-2000).
Voglio anch'io, nel mio piccolo Blog, ricordare Antonio Ruberti che ho avuto l'onore di conoscere di persona, nel suo studio di Rettore dell'Università di Roma "La Sapienza", intorno alla metà degli anni Ottanta. Ero all'inizio della mia carriera universitaria. Andammo da lui, un tardo pomeriggio, il prof. Tullio De Mauro, la prof.ssa Angela Saponaro ed io, a parlargli dei primi risultati di un progetto di ricerca avviato nella primavera del 1983. Si trattava del progetto mettere a punto, sulla base delle ricerche più avanzate sulla comprensione linguistica e sui mezzi per agevolarla, alcuni criteri oggettivi di scrittura. Quei primi risultati lasciavano intravedere la possibilità di numerose applicazioni nella pratica della comunicazione (pubblica, istituzionale, didattica ecc.). Ci consentivano perfino di sostenere che, attraverso l'uso consapevole e, per certi aspetti, consapevolmente estremistico, di quelle che poi abbiamo chiamato le tecniche di scrittura controllata, è possibile scrivere testi leggibili e comprensibili anche per persone svantaggiate socioculturalmente e per persone con forme di ritardo mentale lieve. Da quelle ricerche e da quel progetto scientifico nacque, nell'aprile del 1989, il periodico di informazione dueparole. Mensile di facile lettura, il primo (e, per quel che io so, unico) esperimento di quegli anni come di quelli successivi.
Antonio Ruberti non ebbe un attimo di esitazione. Appena De Mauro finì di parlare dei risultati delle nostre ricerche e della possibilità di produrre, in via sperimentale, un mensile a stampa di facile lettura, di proprietà della "Sapienza", per destinatari specifici (per es. ragazzi e adulti svantaggiati socio-culturalmente, persone con difficoltà di lettura e di comprensione, stranieri con scarsa familiarità con la lingua italiana scritta), Antonio Ruberti ci disse che l'idea meritava di essere portata avanti. Perciò destinò al nostro Dipartimento -che allora si chiamava di Scienze del linguaggio- qualche milione dei fondi rettorali per consentirci di mettere in piedi l'iniziativa del nostro gruppo di lavoro, il Gruppo H. Fu così che trovò avvio l'esperimento di dueparole con tutto quello che ne conseguì, dentro e fuori dell'università.
Ricordo in modo nitido due cose di quel breve incontro: l'allegria che traspariva dagli occhi di Antonio Ruberti mentre De Mauro enumerava alcune delle possibili applicazioni di quei risultati e il mio imbarazzo che andava, pian piano, trasformandosi in orgoglio per il lavoro fatto ed entusiasmo per la sfida che ci aspettava.
In varie occasioni e da molti è stata ricordata una frase di Antonio Ruberti: “Un modo importante per innescare e sostenere un ciclo nuovo di impegno e di crescita è l’entusiasmo. Questa parola ci è stata data dai Greci ed è una delle più belle del nostro linguaggio: significa un Dio è dentro di noi. E’ questo Dio che dà la forza per costruire un futuro migliore”.
Questa frase non solo riesce a sintetizzare la somma delle mie emozioni di quel lontano pomeriggio, ma fornisce la chiave interpretativa della visione dell'Università e della Ricerca di Antonio Ruberti: la scienza, la formazione e la politica per un futuro migliore. Migliore per tutti.
Emanuela Piemontese

20 gennaio, 2007

"La democrazia che non c'è" di Paul Ginsborg


Méga biblìon, mèga kakòn, "grosso libro, grosso danno" diceva Callimaco, poeta alessandrino, nato a Cirene intorno al 305 a.C. e morto ad Alessandria d'Egitto intorno al 240 a.C. Questo detto di Callimaco mi è tornato alla mente leggendo il volume di Paul Ginsborg La democrazia che non c'è (Einaudi, 2006).
Perché mai questa associazione di idee? Per l'estrema asciuttezza e brevità del volume di Paul Ginsborg. Due qualità, l'asciuttezza e la brevità, particolarmente apprezzate (e suggerite) da Callimaco in un'epoca che vedeva grandi trasformazioni all'interno della cultura greco-ellenistica, in un confronto difficile, ma inevitabile (e perciò dinamico) tra innovazione e tradizione.
Il tema affrontato -con tanta sobrietà di stile- da Paul Ginsborg è la democrazia, anzi come dice lui stesso nel Prologo "la natura e la potenzialità dell'odierna democrazia. (...) Questo saggio affronta alcune delle questioni più pressanti sorte nella storia della democrazia, rapportandole ai pericoli dei nostri giorni (...) La democrazia ha molti nemici in attesa tra le quinte, politici e movimenti per il momento costretti a giocare secondo le sue regole ma il cui intento reale è tutt'altro -populista, di manipolazione mediatica, intollerante e autoritario. Conquisteranno molto spazio, se non riformeremo rapidamente le nostre democrazie" (pagg. 16-17).
Mi hanno colpita, leggendo l'inizio della terza parte, due questioni.
La prima. Nel primo paragrafo dedicato alla "democrazia economica" c'è un richiamo alle direttive europee sul coinvolgimento dei alvoratori nelle imprese costituite in forma di Società europea e di Società cooperativa europea" direttiva che completano la regolametazione recente in materia" (pag. 113). Accanto al parere pessimista di un esperto sindacale che vede "la disciplina europea del coinvolgimento dei lavoratori 'pervasa da un'intima contraddizione'" e conclude che il clima in cui essa nasce oggi non vede più "la partecipazione tra le priorità", è citato anche il commento di un altro esperto sindacale. A parere di questo secondo esperto "una buona parte di questi anni è andata persa in interminabili controversie. (...) I testi ne hanno sofferto, diventando da un lato eccessivamente complessi, dall'altro mancano di trasparenza e leggibilità" (pag. 114).
La seconda. Nel secondo paragrafo, intitolato "Democrazie e genere" Paul Ginsborg affronta il tema delicato, quanto trascurato, del rapporto tra generi (maschile e femminile) e democrazia. Un tema che, come le ultime vicende elettorali (e la composizione delle candidature di tutti gli schieramenti politici, sia pure con qualche differenza, ma -diciamolo!- troppo lieve) dimostrano è tuttora temuto. E perciò mantenuto in secondo piano.
Eppure, dice Ginsborg, "avere chiaro in mente lo stato attuale dei rapporti di genere in seno alla democrazia, e capire in che modo possano e debbano essere variati, è importante quanto individuare nuove forme politiche che combinano la democrazia rappresentativa e partecipativa, o cercare di creare un sistema di democrazia economica. Ma troppo spesso tale problematica è relegata in un ghetto di studi femminili o trattata in maniera assai sommaria" (pag. 115).
Su quest'ultimo punto suggerirei a Ginsborg di usare, più opportunamente, il passato -per ora- prossimo ("tale problematica è stata relegata"). Sperando che il pessimismo degli esperti non si riveli, in futuro, tristemente fondato. Altrimenti sarà opportuno ripristinare il decadente passato remoto (fu relegata)! Magari con l'eplicitazione del "complemento d'agente". Ovvero del soggetto logico. O dei soggetti logici. Ma logico o logici solo "grammaticalmente". Ahinoi!
Emanuela Piemontese

17 gennaio, 2007

The show must go on?



Leggo stasera sul sito dell'Unità on line (http://www.unita.it/view.asp?idContent=62813) una notizia che sottopongo alla riflessione e al commento dei miei lettori.

Si tratta della presa di posizione del Rettore dell'Università di Firenze che non so se, quali e quanti effetti potrà avere sul futuro della nostra università.
In ogni caso, personalmente apprezzo molto un gesto che io leggo e interpreto come gesto di chiarezza prima che di protesta.

Riporto testualmente un pezzo della notizia:
Martedì mattina il personale dell´ateneo toscano ha ricevuto un´insolita lettera firmata dal rettore Augusto Marinelli: «In questo particolare momento ritengo che non sia appropriato celebrare ufficialmente l´inaugurazione dell´anno accademico. Quest´anno perciò – scrive il rettore – non si svolgerà la cerimonia che tradizionalmente scandisce l´inizio delle attività universitarie. La rinuncia a programmare questo appuntamento è un gesto altamente simbolico, con il quale intendo segnalare la situazione di difficoltà e la preoccupazione per il futuro dell´Università, per mantenere alta l´attenzione e lanciare un pressante invito al Governo, perché metta in agenda al più presto i problemi dell´Università e della ricerca». Nessuno spazio per equivoci o per trovare altre motivazioni. Il nodo della questione è chiaro: non è tempo di festeggiamenti, l´Università è a lutto.

Condivido pienamente il commento (evidenziato da me in azzurro) di Paola Zanca, autrice dell'articolo.

Penso, infatti, che quello del Rettore dell'Università di Firenze sia un gesto di chiarezza estrema.
Rinunciare alla cerimonia ufficiale di inaugurazione dell'anno accademico significa dire -a se stessi e agli altri- che non sempre e non necessariamente the show must go on. Espressione nota che, tradotta liberamente, potrebbe suonare anche più autorevolmente "per ogni cosa c'è il suo momento" (Quoèlet, 3,1).
Emanuela Piemontese

04 gennaio, 2007

Lauree e diplomi a peso?

Mi sono collegata stasera a una delle più importanti agenzie giornalistiche italiane e, navigando navigando tra le notizie dall'Italia e dall'estero, ho finito per cliccare sulla voce "università". Deformazione professionale, ammetto! Le lezioni accademiche stanno per riprendere e, in quanto lavoratrice di una delle università romane (pubbliche), volevo sapere se ci sono "novità", ministeriali e/o politiche in vista. Insomma se qualcuno sta pensando, in queste settimane, anche all'università italiana e al suo futuro.
Accanto a un paio di notizie piccole, nella HomePage dello "Speciale Università", campeggia una grande pubblicità -animata e a colori- di uno dei tanti centri/istituti che, negli ultimi anni, preparano gli studenti in difficoltà a "non perdere tempo" se hanno problemi con gli esami a scuola o all'università.
Fin qui (quasi) tutto regolare. Allora perché parlarne, rischiando di estendere gratuitamente la circolazione della pubblicità citata?
Colpisce la nonchalance con la quale il centro che si fa pubblicità sul sito dell'agenzia giornalistica italiana (non) citata indica anche le tariffe: laurea da 320 euro al mese; diploma da 251 euro al mese.
Due domande nascono spontanee.
La prima è di tipo linguistico. In questo caso che cosa significa la preposizione da? A partire da (e quindi che può costare anche di più)? O significa che vale?
La seconda è: quanti mesi sono previsti o necessari per superare un esame?
Non è raro sentire tutto il male possibile dei docenti, della scuola e dell'università pubblica italiana. A volte con qualche ragione. A volte con qualche torto, grave e pericoloso. Qual è il messaggio che la pubblicità manda a genitori e figli/studenti "in difficoltà" per non "perdere tempo"?
Non sto cercando di difendere la categoria professionale cui appartengo. So, per esperienza personale, che i nostri laureati, almeno finora, non sono quasi mai secondi a nessuno all'estero. Parlo, ovviamente, dei diplomati e dei laureati che hanno studiato e che studiano davvero, che s'appassionano a ciò che studiano (come la giovane ricercatrice a contratto del CNR, ricordata dal Presidente della Repubblica nel suo discorso di fine anno), che riescono a superare gli esami, impegnando tempo, energie e fatica. E, naturalmente, anche i soldi necessari per studiare nelle nostre università pubbliche. Con qualche rinuncia e sacrificio, a cominciare dal tempo libero e dai (meritati) divertimenti.
Non so come la pensano i miei studenti, i loro genitori, fratelli e sorelle maggiori. Spero che tra loro non ci sia nessuno che, invece di studiare, affrontare e superare le difficoltà che ogni esame pone sempre, decida di "non perdere tempo" all'università e di "prepararsi agli esami", al suono di centinaia di euro al mese.
Mi piacerebbe, però, sapere alcune cose. La prima: chi sono gli studenti "in difficoltà" che ricorrono alle scuole "di recupero" del tempo che a scuola e all'università si rischia di perdere? E chi sono i loro docenti/tutori? Con quali tariffe sono pagati e con quali garanzie lavorano? Tra questi ultimi non ci saranno anche neodiplomati e neolaureati "in difficoltà", che, come si diceva un tempo, hanno "butatto il sangue sui libri" e che, una volta diplomati e laureati, non trovano un lavoro normale, né a tempo determinato né a tempo indeterminato? Forse mi sbaglio.
Altra cosa che vorrei sapere, last not least, è: perché trovo tanto avvilente (per non dire umiliante) che un'agenzia giornalistica benemerita come quella che ospita la pubblicità suddetta si presti a tanto?
"Meditate, gente, meditate!" diceva la pubblicità di una famosa birra d'italica fattura, qualche anno fa. Ma allora i confini e i "limiti" almeno erano più chiari e sicuri: la pubblicità stampata campeggiava, infatti, per alcune settimane sui muri dei paesi e delle città oppure si ascoltava, negli appositi spazi radiofonici e televisivi, a ore fisse e con i minuti contati.
Non avete anche voi l'impressione che oggi ogni confine e limite sia ampiamente superato? Se sì, diciamo(ce)lo, per favore!
Emanuela Piemontese

02 gennaio, 2007

Messaggio di fine anno del Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano

Credo valga la pena leggere (e rileggere) il messaggio di fine anno del Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano. Perché mai? Per vari motivi. Innanzitutto perché fornisce alcune linee guida per dare un senso e un seguito operativo alla speranza comune di un anno nuovo "migliore" di quello passato.
Nel precedente post dicevamo, infatti, che sperare non basta. Non avevamo ascoltato ancora il discorso serale del 31 dicembre del Presidente, ma avevamo già la convinzione che siamo tutti responsabili del nostro futuro, non solo di quello individuale, ma anche di quello collettivo.
Il primo motivo di interesse per il discorso di fine anno è, dunque, proprio in questo richiamo alla responsabilità di ciascuno -nella res publica- per il bene comune.
Riportiamo, per comodità e correttezza d'informazione, il testo integrale del discorso, ripreso dal sito istituzionale della Presidenza della Repubblica Italiana.


Messaggio di fine anno del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano
Palazzo del Quirinale, 31 dicembre 2006

A voi che mi ascoltate, e a tutti gli italiani, in patria e all'estero, il più cordiale augurio di Buon Anno.
E' un augurio che vi rivolgo per la prima volta da Presidente della Repubblica. Rivivo la lontana emozione del mio incontro con la politica nell'Italia appena rinata alla democrazia. E colgo l'occasione per dirvi dunque brevemente dell'esperienza che sto compiendo da alcuni mesi e dei problemi con cui mi sono misurato.
Mi sono stati già affidati nel passato delicati incarichi nelle istituzioni italiane ed europee. Ma sto ora verificando quanto sia più complessa e impegnativa la responsabilità che la nostra Costituzione attribuisce al Capo dello Stato. Interpretare ed esprimere, con passione civile e con assoluta imparzialità, sentimenti e valori condivisi, esigenze e bisogni che riflettono l'interesse generale del paese. E guardare sempre all'unità nazionale come bene primario da tutelare e consolidare.
A questo più alto incarico sono stato chiamato all'indomani di un voto che ha visto gli elettori dividersi in due parti quasi uguali, tra loro nettamente contrapposte. Le diversità, anche radicali, degli orientamenti e dei programmi, e quindi l'asprezza dei contrasti, non possono preoccupare perché fanno naturalmente parte della competizione democratica. E non cancellano tutto quel che ci unisce come italiani. Ma forte è il bisogno di un clima più sereno e costruttivo. Ho creduto e credo di doverlo dire.
Se la politica diventa un continuo gridare, un gareggiare a chi alza di più i toni, uno scontrarsi su tutto, su ogni questione, in ogni momento, ne soffrono le istituzioni, a cominciare dal Parlamento, e ne soffre il rapporto con i cittadini. Quando nel frastuono generale non si possono nemmeno più cogliere bene le diverse posizioni e proposte, allora molti finiscono per allontanarsi non da questo o quel partito, ma dalla politica.
E invece, attenzione. A chi mi ascolta, e a tutti gli italiani, vorrei dire : non allontanatevi dalla politica. Partecipatevi in tutti i modi possibili, portatevi forze e idee più giovani. Contribuite a rinnovarla, a migliorarla culturalmente e moralmente. Lessi molti anni fa e non ho mai dimenticato le parole della lettera che un condannato a morte della Resistenza, un giovane di 19 anni, scrisse alla madre : ci hanno fatto credere che "la politica è sporcizia" o è "lavoro di specialisti", e invece "la cosa pubblica siamo noi stessi". Quelle parole sono ancora attuali : non ci si può rinchiudere nel proprio orizzonte personale e privato, solo dalla politica possono venire le scelte generali di cui ha bisogno la collettività, e la partecipazione dei cittadini è indispensabile affinché quelle scelte corrispondano al bene comune.
Ma a questo fine è importante che vi sia più dialogo, più ascolto reciproco, tra gli opposti schieramenti. Non abbracci confusi, ma nemmeno guerre come tra nemici piuttosto che polemiche tra avversari. E' questo l'appello che ho rivolto e che continuo testardamente a rivolgere ai protagonisti della vita politica, interpretando, credo, il comune sentire dei cittadini. Quel che auspico è lo stesso clima consolidatosi, nella politica e nelle istituzioni, in grandi paesi democratici. E' possibile che ci sia anche da noi, confido che ci si arriverà.
Attraverso un confronto costruttivo si potranno ricercare - e questo, in sostanza, è ciò che preme a tutti noi - le soluzioni migliori ai problemi più gravi del paese. Ne citerò qualcuno che sento di più. Innanzitutto quello di far crescere e progredire l'Italia nel suo insieme. Le difficoltà non sono poche, lo sappiamo : dobbiamo alleggerirci del pesante debito pubblico accumulato nei decenni scorsi, e ciò richiede seri sforzi per dare priorità all'interesse generale. Dobbiamo riuscirci non solo per rispettare i nostri impegni con l'Europa, ma per porre su fondamenta più solide e sane lo sviluppo del nostro paese.

Lo sviluppo, ripeto, dell'insieme del paese. La sua parte più dinamica e competitiva merita la massima attenzione per il ruolo trainante che svolge, ma neppur essa può crescere per proprio conto, con le sue sole forze. E' indispensabile una visione unitaria e solidale : non si può fare a meno del grande potenziale rappresentato dal Mezzogiorno, occorre metterlo a frutto con politiche incisive e coraggiose.
E per fortuna, l'Italia non è ferma. Ha già ripreso a crescere, col contributo determinante di imprenditori che hanno imboccato la strada dell'innovazione e del rischio nel mercato globale ; e insieme di tecnici e lavoratori qualificati e aperti al cambiamento, consapevoli che è il momento di premiare il merito. Bisogna incoraggiare gli uni e gli altri : guardando con particolare sensibilità a chi lavora in condizioni pesanti e per salari inadeguati, a cominciare dagli operai dell'industria. E non si può tollerare la minaccia e la frequenza degli infortuni cui è esposta la sicurezza, e addirittura la vita, di troppi occupati, specie di chi, italiano o immigrato, lavora in nero.
L'occupazione è in aumento. Ma c'è da creare ancora lavoro per molti giovani e donne, specialmente nel Sud : lavoro alla luce del sole e pienamente riconosciuto nei suoi diritti. E' questa una delle condizioni principali per realizzare una maggiore coesione sociale e civile, e in particolare per combattere fenomeni di disgregazione e criminalità nelle regioni più difficili.
Più coesione significa anche più equità, meno disparità nei redditi e nelle condizioni di vita, più vicinanza e sostegno per le persone e le famiglie che versano - e sono tante - in penose ristrettezze, e per quelle che sono provate da sofferenze di ogni natura. Più coesione significa inoltre uno sforzo maggiore per integrare nel sistema dei nostri principi e precetti costituzionali, senza discriminarli o tenerli ai margini, gli stranieri di cui l'Italia oggi ha certamente bisogno, e di cui è stato ed giusto regolare l'ingresso legale nel nostro paese.
Una società più giusta, libera e aperta può anche essere più sicura, attraverso il richiamo severo, che non deve mancare, al rispetto delle leggi, delle regole, dei doveri. E' a questo impegno che presiedono con grande dedizione, negli ambiti di rispettiva competenza, le forze dell'ordine, e la magistratura, alla quale spetta anche contribuire a un più lineare e rapido corso della giustizia.
Sono queste le basi da rafforzare per un nuovo sviluppo del nostro paese, che è possibile e non dipende solo da chi ha responsabilità di governo ma dall'iniziativa e dal contributo di molti. E ci dà fiducia la ricchezza delle risorse umane di cui disponiamo : risorse come quelle della scuola e della ricerca, ingegno creativo e produttivo, e insieme sensibilità e solidarietà diffuse, che si esprimono con forza crescente in tante forme, a cominciare dal volontariato, quello delle ragazze e dei ragazzi del Servizio civile che ho da poco incontrato, e quello dell'associazionismo laico e religioso.
E alla vigilia dell'Anno europeo delle pari opportunità voglio sottolineare come in Italia tra le riserve preziose su cui contare ci sia quella, ancora così poco valorizzata, dei talenti e delle energie femminili.
Vedete, ho conosciuto e ascoltato un mese fa a Napoli due donne. La prima, madre di un ragazzo che si stava perdendo nelle trappole della malavita, ci ha raccontato come abbia combattuto per salvarlo, per recuperarlo alla scuola e come ci sia riuscita con l'aiuto della scuola. La seconda, una giovane che ha studiato con successo giungendo alla laurea e al dottorato, lavora ora a un progetto avanzato di ricerca genetica, per mille euro al mese - e si considera fortunata -, con un contratto che scade nel maggio prossimo, ma "non ci penso - ha detto - perché ho un lavoro bellissimo".
Ecco, due casi così diversi : ma che ci dicono entrambi quale forza morale anima tante donne e può diventare fattore essenziale di progresso civile e di crescita dell'economia e della società. In particolare, gli incontri che ho ricordato mi hanno dato ancor più fiducia nell'avvenire di Napoli : è, come sapete, la mia città, ma penso sia cara a tutti gli italiani.
Per raccogliere le energie di cui è ricca la società italiana, indirizzarne e soddisfarne responsabilmente le domande, contrastando particolarismi e chiusure egoistiche, la politica ha bisogno di istituzioni più riconosciute e più forti. Si trovi dunque l'intesa per riformarle, senza toccare il patrimonio dei grandi valori e indirizzi costituzionali. Si concordino con realismo e misura quelle riforme che possono rendere più chiaro e coerente il ruolo delle autonomie regionali e locali, più efficace nelle sue decisioni il Parlamento nazionale - supremo fondamento della democrazia repubblicana. E si ricerchi pazientemente l'accordo su meccanismi elettorali che rendano più lineare e sicura la formazione delle maggioranze chiamate a governare il paese.
Infine, la politica deve guardare non solo all'Italia d'oggi, ma al mondo e al suo futuro.
Abbiamo costruito e consolidato la pace nel cuore dell'Europa, ma non c'è ancora pace oltre i suoi confini. In questo momento tragici bagliori ci giungono ancora dall'Iraq. Sentiamo come minaccia comune le guerre che sconvolgono il Medio Oriente, che insieme con la fame e le malattie attraversano e flagellano l'Africa, da ultimo ancora una volta in Somalia, e che toccano ancora altre regioni.
La comunità internazionale, e in particolare l'Europa e l'Italia, non possono assistere inerti a questi conflitti, o al rischio della proliferazione nucleare ; sono tenute a fare la loro parte per promuovere pace, stabilità, disarmo, sviluppo, per sostenere ovunque la causa dei diritti umani. Perciò è giusto intensificare le iniziative di cooperazione internazionale e partecipare alle missioni delle Nazioni Unite e dell'Unione europea in aree di crisi, come quella da poco iniziata in Libano. Ed è importante farlo con la carica di professionalità e umanità che contraddistingue le nostre Forze Armate, alle quali anche questa sera esprimo la nostra riconoscenza.
Ci sono state decisioni, come quella sull'ultima missione, prese in Parlamento a larghissima maggioranza : ecco un esempio positivo di intesa tra opposte parti politiche.
Il fenomeno delle crisi più gravi e delle guerre in diverse parti del mondo si intreccia col fenomeno del terrorismo internazionale, portando in sé il pericolo dei fanatismi, delle contrapposizioni radicali, degli scontri di civiltà. Non possiamo dimenticare quel che l'Italia ha pagato per il terrorismo di casa nostra, per quel delirio di violenza e per quelle vite stroncate, alla cui memoria dobbiamo ancora rendere omaggio. Ebbene, ci opponiamo con eguale fermezza al terrorismo di matrice fondamentalista che non conosce frontiere. Esso non rappresenta ma divide e minaccia innanzitutto lo stesso Islam. In quanto a noi, perseguiamo non lo scontro ma il dialogo tra le culture e tra le religioni.
Nell'attuale, contraddittorio quadro mondiale un grande contributo positivo può venire dall'Europa. E' una convinzione, ed è un'aspettativa, che ho sentito esprimere dai Capi di Stato e dalle personalità rappresentative di numerosi paesi, di diversi continenti che ho incontrato in questi mesi. Occorre perciò superare resistenze e difficoltà che impediscono una più forte unità e azione europea. Lo diciamo sapendo che anche l'Italia conterà nel mondo che si trasforma sotto i nostri occhi solo se conterà di più l'Europa.
Su questi grandi temi - la pace, in Terra Santa innanzitutto, tra israeliani e palestinesi ; il dialogo con altre civiltà e altre fedi, nella distinzione e nel reciproco rispetto ; il ruolo dell'Europa - colgo una profonda sintonia con la Chiesa cattolica, con le sue espressioni di base, con le sue voci più alte. Ne ho tratto conferma dall'aperto e cordiale incontro del 20 novembre con Papa Benedetto XVI, al quale invio di qui il mio saluto beneaugurante. C'è sintonia nel sollecitare un più giusto ordine mondiale, un modello di sviluppo globale diverso e più sobrio, di fronte a un ormai inquietante degrado dell'ambiente, che minaccia la stessa sopravvivenza umana.
Nel discorso indirizzatomi in occasione di quell'incontro, il Pontefice ha voluto richiamare ripetutamente i principi e i valori affermati nella Costituzione italiana. E' mia convinzione che sia in effetti questo il riferimento essenziale per affrontare nel modo migliore anche i temi più delicati che oggi ci vengono proposti dagli sviluppi della scienza e dall'etica, da complesse situazioni sociali e da dolorosi casi umani come quelli che ci hanno di recente turbato e coinvolto. Alle scelte di cui si riconosca la necessità, il Parlamento può giungere nella sua autonomia attraverso un dialogo sulla vita e un confronto sulla realtà della famiglia che portino chiarezza ed evitino fratture.
In conclusione, le questioni che si profilano in ogni campo all'inizio del nuovo anno richiedono un impegno di più pacata e costruttiva riflessione, un maggior senso del limite e della responsabilità. E' così che potranno essere superate molte difficoltà, rispetto alle quali un paese come il nostro deve e può avere fiducia in sé stesso. E' un paese nel quale antiche e profonde sono le radici della civiltà dell'Europa e dell'Occidente. E' un paese che può far leva tanto sulla sua storia quanto sul suo dinamismo, sulla sua capacità di rinnovarsi e migliorarsi.
E' questo il saluto di Buon Anno che rivolgo dunque a voi tutti, alle vostre famiglie, e in modo particolarmente affettuoso - anche da nonno, se mi permettete - ai bambini che vi circondano. Ne incontro molti, al Quirinale e nelle città : e sono sempre una fonte fresca di gioia e di speranza. E' pensando a loro che dobbiamo saper guardare lontano, saper guardare consapevolmente al futuro.
Grazie, e ancora auguri!
Quali sono dunque gli altri motivi di interesse per le parole pronunciate dal nuovo Presidente della Repubblica in poco più di quindici minuti?
Innanzitutto il richiamo, ricordato già dai mezzi di comunicazione, alla necessità di una partecipazione rinnovata, più matura e consapevole, alla "politica" per migliorarla insieme. Di questa necessità c'è una percezione diffusa, ma spesso opacizzata dalla prevalenza di una cultura che spinge all'individualismo e al particolarismo, tanto miope quanto autolesionista.
A questo richiamo si lega il forte invito al dialogo e a un maggiore ascolto tra gli "opposti schieramenti" per operare le scelte generali di cui ha bisogno l'intera collettività, il sud quanto il nord dell'Italia. Una "visione unitaria e solidale" può mettere insieme la parte più dinamica e competitiva del Paese con il grande potenziale del nostro Mezzoggiorno che, però, richiede politiche "incisive e coraggiose".
In questa visione dialettica tra individualità e collettività si colloca anche la dinamica non solo interna, ma internazionale tra Italia, Europa e il resto del mondo. Nessuno creda di risolvere oggi i suoi problemi con un approccio dettato da visioni particolaristiche e da chiusure egoistiche.
In questa prospettiva, nelle società avanzate non possono essere più tollerati fenomeni come la mancanza di sicurezza sul lavoro degli occupati, italiani e immigrati e la sottovalutazione delle energie femminili. Il 2007 è infatti l'anno europeo delle pari opportunità e l'Italia conta tra le sue riserve preziose quella "ancora così poco valorizzata dei talenti e delle energie femminili".
Per mettere a frutto tutte le ricchezze e le potenzialità del nostro Paese sono indispensabili istituzioni "più riconosciute e più forti" che richiedono riforme e decisioni coerenti con i valori e gli indirizzi costituzionali.
La pace costruita e consolidata "nel cuore dell'Europa" purtroppo è ancora un miraggio per molti, troppi altri Paesi, flagellati da guerre, fame, malattie. L'Italia e l'Europa sono perciò chiamate a fare la loro parte per promuovere "pace, stabilità, disarmo, sviluppo" e sostenere ovunque la causa dei diritti umani". Guerre, terrorismi, fanatsimi e contrapposizioni non agevolano il dialogo tra culture e religioni diverse, ma alimentano lo scontro tra di esse.
Nella sua conclusione il Presidente ha sottolineato, infine, che all'inizio del nuovo anno ci troviamo ad affrontare una quantità di "questioni delicate", sociali ed etiche, che richiedono a tutti un "impegno di più pacata e costruttiva riflessione, un maggior senso del limite e della responsabilità".
Un motivo di interesse per il discorso del Presidente è anche nel tipo di linguaggio usato e nella "misura" delle sue parole.
Nel suo insieme, il discorso è composto di 2.204 parole di cui 928 parole diverse. Le frasi pronunciate sono 88, con una media di parole di 25,5 parole per frase.
La leggibilità del testo, calcolato con il programma Censor della Eulogos con la formula Gulpease (Lucisano e Piemontese, 1988), è di 50,7. Si tratta di un discorso abbastanza accessibile a chi abbia almeno la terza media. A confermare il dato quantitativo della leggibilità è anche la percentuale di presenza nel testo di parole del vocabolario di base della lingua italiana (De Mauro, 1980-2004) che arriva al 93,60%.
Vale la pena sottolineare che tra le parole estranee al vocabolario di base (il 6,40%) ricorrono parole che, in ordine di frequenza, sono: Italia, Europa, coesione, sintonia, Napoli, lineare, globale, costruttivo, costituzionale, volontariato, valorizzato, unitario, tutelare, stabilità, sopravvivenza, Somalia, solidale, sobrio, ristrettezze, ripetutamente ecc.
Un esempio di profondità e densità dei contenuti, esposti con parole della lingua comune e con notevole attenzione ai destinatari. In questo caso, si tratta del migliore esempio di quello che altrove abbiamo chiamato "destinatario indistinto". Si tratta di un destinatario che include tutti gli italiani, in Italia e all'estero. A prescindere dalle differenze dovute alla loro collocazione geografica, ai livelli d'istruzione, al mestiere e alla professione esercitata, alla posizione familiare ed economica, all'estrazione sociale ecc. Un destinatario che include anche tutti coloro che, per varie ragioni, stranieri e immigrati, vivono, lavorano o sperano di trovare lavoro in Italia. Insomma tutti coloro che fanno parte della nostra comunità lingusitica, ma che possono avere sensibili differenze nel possesso, nell'uso e nella comprensione della nostra lingua.
Emanuela Piemontese