Mi sono collegata stasera a una delle più importanti agenzie giornalistiche italiane e, navigando navigando tra le notizie dall'Italia e dall'estero, ho finito per cliccare sulla voce "università". Deformazione professionale, ammetto! Le lezioni accademiche stanno per riprendere e, in quanto lavoratrice di una delle università romane (pubbliche), volevo sapere se ci sono "novità", ministeriali e/o politiche in vista. Insomma se qualcuno sta pensando, in queste settimane, anche all'università italiana e al suo futuro.
Accanto a un paio di notizie piccole, nella HomePage dello "Speciale Università", campeggia una grande pubblicità -animata e a colori- di uno dei tanti centri/istituti che, negli ultimi anni, preparano gli studenti in difficoltà a "non perdere tempo" se hanno problemi con gli esami a scuola o all'università.
Fin qui (quasi) tutto regolare. Allora perché parlarne, rischiando di estendere gratuitamente la circolazione della pubblicità citata?
Colpisce la nonchalance con la quale il centro che si fa pubblicità sul sito dell'agenzia giornalistica italiana (non) citata indica anche le tariffe: laurea da 320 euro al mese; diploma da 251 euro al mese.
Due domande nascono spontanee.
La prima è di tipo linguistico. In questo caso che cosa significa la preposizione da? A partire da (e quindi che può costare anche di più)? O significa che vale?
La seconda è: quanti mesi sono previsti o necessari per superare un esame?
Non è raro sentire tutto il male possibile dei docenti, della scuola e dell'università pubblica italiana. A volte con qualche ragione. A volte con qualche torto, grave e pericoloso. Qual è il messaggio che la pubblicità manda a genitori e figli/studenti "in difficoltà" per non "perdere tempo"?
Non sto cercando di difendere la categoria professionale cui appartengo. So, per esperienza personale, che i nostri laureati, almeno finora, non sono quasi mai secondi a nessuno all'estero. Parlo, ovviamente, dei diplomati e dei laureati che hanno studiato e che studiano davvero, che s'appassionano a ciò che studiano (come la giovane ricercatrice a contratto del CNR, ricordata dal Presidente della Repubblica nel suo discorso di fine anno), che riescono a superare gli esami, impegnando tempo, energie e fatica. E, naturalmente, anche i soldi necessari per studiare nelle nostre università pubbliche. Con qualche rinuncia e sacrificio, a cominciare dal tempo libero e dai (meritati) divertimenti.
Non so come la pensano i miei studenti, i loro genitori, fratelli e sorelle maggiori. Spero che tra loro non ci sia nessuno che, invece di studiare, affrontare e superare le difficoltà che ogni esame pone sempre, decida di "non perdere tempo" all'università e di "prepararsi agli esami", al suono di centinaia di euro al mese.
Mi piacerebbe, però, sapere alcune cose. La prima: chi sono gli studenti "in difficoltà" che ricorrono alle scuole "di recupero" del tempo che a scuola e all'università si rischia di perdere? E chi sono i loro docenti/tutori? Con quali tariffe sono pagati e con quali garanzie lavorano? Tra questi ultimi non ci saranno anche neodiplomati e neolaureati "in difficoltà", che, come si diceva un tempo, hanno "butatto il sangue sui libri" e che, una volta diplomati e laureati, non trovano un lavoro normale, né a tempo determinato né a tempo indeterminato? Forse mi sbaglio.
Altra cosa che vorrei sapere,
last not least, è: perché trovo tanto avvilente (per non dire umiliante) che un'agenzia giornalistica benemerita come quella che ospita la pubblicità suddetta si presti a tanto?
"Meditate, gente, meditate!" diceva la pubblicità di una famosa birra d'italica fattura, qualche anno fa. Ma allora i confini e i "limiti" almeno erano più chiari e sicuri: la pubblicità stampata campeggiava, infatti, per alcune settimane sui muri dei paesi e delle città oppure si ascoltava, negli appositi spazi radiofonici e televisivi, a ore fisse e con i minuti contati.
Non avete anche voi l'impressione che oggi ogni confine e limite sia ampiamente superato? Se sì, diciamo(ce)lo, per favore!
Emanuela Piemontese
5 Comments:
Sono assolutamente d'accordo con lei. Sul fatto che molti docenti precari si "pieghino" alle esigenze della vita e accettino di lavorare per queste organizzazioni,che incrementano la mala pratica dei "diplomifici" italiani. Sul fatto che certa pubblicità sia oramai invasiva e ci porti a saturazione. Sul fatto che i laureati di cui lei parla, quelli che hanno "buttato il sangue sui libri" si sentano giustamente umiliati da tali situazioni. E, last but not least, per citarla, mi permetta di salutare la docente che ho seguito con delizia nel corso sulla semplificazione del linguaggio amministrativo, da lei tenuto nel 2004 all'Università della Tuscia. Faccio tesoro dei suoi insegnamenti e dei testi che allora aveva suggerito e sono felice di aver trovato il suo blog, per continuare a seguirla. Buona giornata e un saluto cordiale. Annarita Verzola
Ho il sospetto che questo fenomeno, così sfacciatamente mercantilistico, rischi di favorire una certa inclinazione degli studenti a non coltivare e sviluppare l'impegno.
Vedo una specie di "allergia" all'approfondimento, all'interrogarsi, a ragionare e scavare con le proprie risorse, perfino a costruirsi proprie idee.
I giovano sembrano sempre più incoraggiati a cercare "piattaforme" già pronte su cui muoversi.
Ma queste, naturalmente, son cose già note: ho praticamente scoperto l'acqua calda.
L'interrogativo interessante è: esisterà un rimedio? Chi e cosa si può attivare per invertire la tendenza?
Anche io sono d'accordo con la prof.ssa Piemontese. L'idea che basti il denaro per assicurarsi un titolo di studio mi fa orrore e mi spaventa, come cittadina, come docente e come madre. E' uno svilimento della cultura e dell'impegno, soprattutto per chi nella ricerca ci crede e "ha buttato il sangue sui libri". Ha fatto bene Emanuela Piemontese a citare il discorso del nostro Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, discorso che ho ascoltato e complessivamente apprezzato. Su una cosa, però, mi trovo in disaccordo con Napolitano, proprio a proposito della giovane ricercatrice del CNR contenta di fare il proprio lavoro per 1000 euro al mese. La ricerca va sostenuta, incrementata e trattata come un lavoro delicato e di responsabilità e proprio per questo non si possono guadagnare 1000 euro al mese! Purtroppo è una realtà fin troppo diffusa in Italia, ma non è giusto e dobbiamo dirlo con forza. Con 1000 euro al mese non si vive e .... un ricercatore non vive di sola ricerca!
Io trovo che queste "scuole" come altre agenzie di (pseudo)formazione non facciano altro che cogliere bene i segnali dei nostri tempi.
Non c'è tempo da perdere in stupidi esami,su stupidi libri con stupidi professori...la bilancia va usata per controllare di avere un corpo perfetto e non certo per soppessare con ponderazione scelte e valutazioni.
La vita è altro...la vita è fare denaro...
Tutto il resto può essere pesato e,quindi,venduto e comprato.
Questi i ragionamenti della gente comune che è,poi,la stragrande maggioranza del nostro Paese.
Non si accetta la fatica di crescere e,soprattuto,non si crede nella possiblità di un progetto di vita fondativo della propria esistenza.
Un progetto di vita che nasce e si permea nel sacrificio,nella dedizione ed,in primo luogo,nel piacere di costruire se stessi e la propria vita.
E per farlo non esistono scappattoie,anzi bisogna, a volte, arrivare alla "cantina" della propria coscienza per ritrovarsi in questo mondo ed in questa cultura confusi.
Non esistono,insomma,esami e lauree a buon mercato.
Dietro ogni "da..." ci sono solo giovani laureati che devono svendersi perchè non trovano qualcosa di diverso e migliore da fare.
Spero non abbiano rinunciato anche ai loro sogni.
Io non l'ho fatto e sento che ne è valsa la pena.
Cara Emanuela, ho letto con (dis)piacere il tuo articolo e, purtroppo, credo non sia mai troppo chiaro l'argomento trattato. Che valenza può avere un titolo di studio svuotato del suo percorso (difficoltà comprese)? E' come un biglietto "gratta e vinci", della serie :"un pezzo di carta può sempre servire" o un trofeo da "CURRUCULUM"? Un caro saluto, Fernanda
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