LA CURA DELLE PAROLE
Curiamo le nostre parole
A chi non è capitato di passare in edicola e di fare sempre più fatica a ritrovare, da soli, il giornale o la rivista che si vuole comprare? Non rimpiango certo le belle e limpide edicole del selvaggio borgo natio in cui, trent'anni fa, arrivavano numerose copie della "Gazzetta del Mezzogiorno", una decina di copie de "l'Unità" e solo qualche copia di "Paese Sera", del "Corriere della Sera" e della neonata "Repubblica". E basta.
Oggi le edicole meriterebbero spazi da negozi veri e propri, se non da centri commerciali, anche per la quantità di gadget imgombranti e, non di rado, del tutto inutili.
A me capita spesso -quando vado all'edicola- di farmi una domanda che francamente mi imbarazza un po'. Mi chiedo se negli ultimi anni in edicola si va, cioè se io vado più spesso a comprare i giornali oppure l'ennesimo volume della raccolta x, y, z che accompagna settimanalmente il tale quotidiano o il tal altro settimanale.
E mi chiedo anche se, delle decine di volumi di letteratura, storia, saggi, guide turistiche, storia dell'arte, antica, moderna, contemporanea, delle crociate ecc. messe in circolazione negli ultimi anni, ci sia qualcuno che legge davvero qualcosa.
Tra la massa di libri, enciclopedie e saggi acquistati, spero che qualcuno abbia (acquistato e) letto anche un saggio di Gustavo Zagrebelsky (1) intitolato Imparare la democrazia.
Alcune frasi del paragrafo intitolato La cura delle parole -del saggio introduttivo dell'Autore- meriterebbero di essere ricordate, soprattutto ai e dai giovani.
"Essendo la democrazia una convivenza basata sul dialogo, il mezzo che permette il dialogo, cioè le parole, deve essere oggetto di una cura particolare, come non si riscontra in nessun'altra forma di governo. Cura duplice: in quanto numero e in quanto qualità.
(a) Il numero di parole conosciute e usate è direttamente proporzionale al grado di sviluppo della democrazia. Poche parole, poche idee, poche possibilità, poca democrazia; più sono le parole che si conoscono, più ricca è la discussione e, con essa, la vita democratica. Quando il nostro linguaggio si fosse rattrappito al punto di poter pronunciare solo sì o no, saremmo pronti per i plebisciti; e quando conoscessimo solo più sì, saremmo nella condizione del gregge che può solo obbedire al padrone. Il numero delle parole conosciute, inoltre, assegna i posti entro le procedure della democrazia. (...) Comanda chi conosce più parole. (...) Ecco perché la democrazia esige una certa uguaglianza -per così dire- nella distribuzione delle parole. (...) Ecco perché una scuola ugualitaria è condizione di democrazia.
(b) Con il numero, la qualità delle parole. Le parole non devono essere ingannatrici, affinché il dialogo sia onesto. Parole precise, specifiche, dirette; basso tenore emotivo, poche metafore; lasciar parlare le cose attraverso le parole; no al profluvio che logora e confonde".
Emanuela Piemontese
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(1) Gustavo Zagrebelsky (1943), giudice della Corte costituzionale, ha insegnato diritto costituzionale e giustizia costituzionale nell'Università di Torino. Ha pubblicato presso Einaudi Il diritto mite (1992), Il «crucifige!» e la democrazia (1995), La domanda di giustizia, insieme con Carlo Maria Martini (2003), e Principî e voti (2005).