23 luglio, 2007

NEW YORK, NEW YORK!


New York, New York!

Fa sempre impressione tornare a New York! Almeno a me. Perché, mi chiedo? Come sempre, in questa città, tutto cambia velocemente, tutto è in continua evoluzione o rivoluzione. I palazzi, i negozi, gli alberghi, i ristoranti, le strade cambiano aspetto, si rinnovano alla svelta e ti avvolgono fino allo stordimento. Mi soffermo a pensare se ora mi piace più di prima o viceversa, ma è un pensiero che dura solo un attimo. La domanda che mi faccio, in effetti, è mal posta. Ciò che ritrovo uguale (e così mi tranquillizzo) è sempre la stessa sensazione. Anzi la percezione fisica di essere tu stesso continuamente in evoluzione, in un vortice vitale che accomuna passato e futuro e rende il presente una specie di tapis roulant esistenziale. Tu ti percepisci sempre uguale e, invece, solo qualcosa di te rimane uguale, ma qualcos’altro (quanto?) è cambiato e sta cambiando.
Forse -me lo dico tra me e me- è per questo che amo New York come si può amare il proprio significant other o, meglio, il significant other di Roma. Espressione appena appresa, da amici e colleghi italoamericani e italocanadesi, coi quali ho il privilegio di condividere una bella esperienza di lavoro nel Vermont e molti pezzi di italianità.
Amo New York -al punto da farmelo rinfacciare da alcuni amici romani, più eurocentrici di me- fin dalla prima volta che sono sbarcata nelle sue strade rumorose e popolose, in un pomeriggio, freddo e limpido, del novembre del 1991, con una cara amica prematuramente scomparsa, Teresa Tiraboschi. Una festa di emozioni per entrambe, sia pure con motivazioni e connotazioni diverse. Io, curiosa di fare l'esperienza diretta dell'America, dopo tanta letturatura, film, musica, personaggi americani, significativi per la mia formazione adolescenziale e giovanile. Teresa, invece, sulle orme della sua omonima nonna. Una donna, la nonna, che nei primi decenni del Novecento è emigrata dalle montagne lombarde della Val Trompia. Marito e figli lasciati in Italia, è arrivata -da sola- a New York alla ricerca di lavoro e fortuna. Dopo alcuni anni è riuscita a riunire la sua famiglia a Pittsburgh, in Pennsylvania, dove ora continuano a vivere lontani nipoti e pronipoti che forse non sanno neppure più di che cosa è stata capace la nonna dei loro nonni.

Girare senza meta per New York mi aiuta, ancor più ora, a percepire somiglianze e differenze, interiori ed esteriori, di me, degli altri e del mondo che ci circonda. Mi aiuta più di quanto mi capiti girando, purtroppo di rado, senza meta per Roma, città eterna e splendida, difficile e tuttavia irrinunciabile.
Però, questa volta, qualcosa di New York mi ha sottilmente intristita, nonostante il mio instancabile amore per essa.
Dal 9/11, come chiamano gli americani l’11 settembre del 2001, è cambiata la vista e la vita della città nel suo insieme. La scomparsa delle due torri gemelle, con il carico di dolore e di lutti che così tanto ha pesato allora e continua a pesare tuttora sull'umanità, dà a New York l’aspetto di una città mutilata, ai miei occhi in modo irrimediabile, mutilazione percepibile fin dal momento dell'avvistamento della città dall'aereo e dell'atterraggio.
Al Ground Zero fervono i lavori di ricostruzione. Molto si è fatto e molto si sta facendo per eliminare il buco nero di quel 9/11 nel cuore della città che lì lavorava e produceva e che era un polo d'attrazione turistica per la vista particolarissima che si godeva dall'alto delle di quelle due torri. Le vittime innocenti di quel giorno -e le tante altre che nel frattempo si sono aggiunte e si vanno quotidianamente aggiungendo, in totale anonimato e silenzio- non possono essere restituite alla vita, ai loro affetti e ai loro affari. E non possono neppure essere ancora contate, almeno per ora, in modo definitivo.

Nel mio rapidissimo passaggio per Ground Zero di qualche settimana fa mi sono tornate improvvisamente alla mente alcune parole di S.Paolo ai Romani: “Nessuno … vive per se stesso e nessuno muore per se stesso” (Rm 14,7s). A quelle parole, con un link ardito, ho associato automaticamente le parole dell'art. 3 della nostra Costituzione: "… senza distinzione di lingua, di razza, di sesso, di religione".
Middlebury, VT 22 luglio 2007
Emanuela Piemontese